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Parole della domenica, allarme per la chiusura di migliaia di negozi ogni anno in Toscana. Anche Montecatini piange

Parole della domenica, allarme per la chiusura di migliaia di negozi ogni anno in Toscana. Anche Montecatini piange

Un allarme lanciato in Toscana riguarda anche Montecatini. Nel 2024, in Toscana hanno chiuso in media 10 negozi al giorno, a fronte di 4,2 nuove aperture, con un rapporto di 2,4 e un totale di 3.645 chiusure nell’anno. Negli ultimi dieci anni, oltre 200 comuni toscani sono stati colpiti dalla desertificazione commerciale, lasciando 1,3 milioni di residenti senza accesso ai servizi di base e portando alla chiusura di 8.474 attività al dettaglio.
Le cause di questa crisi sono molteplici: la concorrenza della grande distribuzione, l’espansione dell’e-commerce e i cambiamenti nelle abitudini di consumo hanno messo a dura prova le piccole attività locali. Il rischio è una progressiva perdita dell’identità commerciale delle città, con la scomparsa delle botteghe storiche e dei negozi di vicinato che da sempre caratterizzano il tessuto urbano.
Passeggiando per le strade di Montecatini, un tempo considerata la città dello shopping oltre che delle Terme, si notano tanti fondi sfitti, a conferma di un impoverimento commerciale iniziato ormai da tanti anni. Eppure sono stati fatti tentativi di incentivazione per nuove aperture con contributi regionali e comunali, ma niente si è consolidato. Il vecchio mercato coperto è un esempio non solo di perdita di identità commerciale, ma anche di una trasformazione sociale di un intero quartiere.
Le periferie della Valdinievole sono vittime di questa situazione di impoverimento: ci sono paesi che hanno perso tutto. Non hanno più negozi, ufficio postale, scuola, un punto bancomat, farmacia e spesso nemmeno un medico di famiglia. Ne scaturisce un inevitabile crescente spopolamento con enormi difficoltà per chi rimane, specie per i più anziani.

Come ogni settimana, ho cercato nel web e sui giornali altre storie per chi voglia leggere ma soprattutto per chi voglia riflettere.
Buona domenica a tutti quelli che ci seguono
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Se ci fosse un’unica festa babbo-mamma

Troppo a lungo uomini e donne hanno ragionato come due contrapposte “volontà di potenza”. Occorre quindi provare a ripensare il maschile-e-femminile proprio così: il trattino dice la volontà di tenerli insieme, provando a distinguere nell’unito e unire facendo fiorire le differenze, in una logica di strutturante reciprocità. Reciprocità, infatti, non è parità e nemmeno solo complementarietà. Com’è noto, il cammino di emancipazione delle donne è iniziato rivendicando parità e, di fronte a tanti divari di genere, in molti contesti c’è ancora bisogno di questo tipo di rivendicazioni. Occorre però evitare quella che Edith Stein, nei suoi saggi pedagogici sulla donna, chiama l’esca della parificazione radicale osservando che, quando le donne mirano comportarsi proprio come un uomo e non possono trovare i mezzi e i modi di rendere fruttuose nella vita professionale la propria peculiarità, sono appesantite da grandi sofferenze», lo scrive Giuseppina D’Addelfio, docente di pedagogia e di filosofia dell’educazione all’Università di Palermo, in una riflessione illuminante pubblicata sul nostro sito (vedi qui). 
Sono concetti su cui riflettere anche in vista della Festa del papà, il prossimo 19 marzo, occasione preziosa per riproporre il senso e le ragioni del concetto di paternità, mai come in questi anni finito del tritacarne delle indagini pseudosociologiche. Così, con l’obiettivo – condivisibile – di superare modelli ormai impresentabili – il padre padrone, il padre che non deve chiedere mai, il padre che si illude di aver pieni diritti sui figli e sulla madre dei suoi figli –  abbiamo finito per svuotare la paternità di ogni spessore identitario e ne abbiamo messa in discussione la funzione normativa – qualche regola in famiglia e fuori ci vuole –  e soprattutto quella educativa.
Serve quindi una prospettiva nuova, che da una parte rifiuti la tradizione del padre giudice supremo, con la deriva della violenza di genere, dall’altra prenda le distanze da modelli che hanno mostrato tutta la loro fragilità. Sbagliato quindi evocare la crisi della paternità senza sforzarci di guardare oltre. Che fare allora? Arrendersi? No, la festa del papà può essere l’occasione per riflettere sul modo in cui, noi uomini, facciamo i genitori e su come riusciamo o meno ad essere credibili agli occhi dei figli. La strategia per farlo si concentra nella parola già evocata dalla professoressa D’Addelfio: reciprocità. Come possiamo tradurla? Scambio vicendevole, rapporto ricco di attenzioni e di rispetto, complicità, vicinanza, amicizia, desiderio di guardare avanti e di progettare insieme. E tanto altro ancora. Così potremmo essere padri migliori. Accanto a madri che lo saranno altrettanto. Osserva ancora Giuseppina D’Addelfio: «La donna non sarà davvero libera finché l’uomo sarà oppressore, ma anche perché in tal modo anche l’uomo verrà liberato da stereotipi e pregiudizi che appesantiscono, fino a opprimere e persino sopprimere il maschile». E ancora: «Nel reciproco delinearsi dell’esser padre e dell’esser madre, ciascuno sarebbe diverso, se l’altro/a fosse diversa. Non si può pensare allora la paternità senza la maternità, e viceversa. Chiarissimo e incontrovertibile. Ecco la chiave per comprendere il rapporto di coppia e, nello stesso tempo, per comprenderci come uomini e come padri. 
A questo punto, tornando al 19 marzo, potremo chiederci che senso ha celebrare la festa del papà e quella mamma in due date diverse, come se maternità e paternità fossero due condizioni separate e non comunicabili? 
Forse stabilire un’unica ricorrenza – almeno dal punto di vista laico, senza intaccare la devozione verso san Giuseppe –  servirebbe a collegare meglio, anche simbolicamente, il senso di un impegno comune, che si può pensare e concretizzare soltanto in questa unica eppur duplice valenza. L’alleanza di maschile-e-femminile non è un’ipotesi tra le tante, ma l’unica strada per offrire a paternità e maternità quei nuovi modelli capaci di riaffermare e rilanciare nella postmodernità la volontà e l’impegno di essere genitori. E allora allarghiamo la festa e liberiamo il maschile-e-il-femminile da qualsiasi logica di contrapposizione e di autosufficienza. Solo una proposta, ma pensiamoci.
Luciano Moia – Avvenire, 16 marzo 2025

Le farfalle americane stanno scomparendo

Niente da fare: impossibile evitare le brutte notizie quando si parla di ambiente. L’ultima è di pochi giorni fa: le farfalle americane stannoscomparendo a un ritmo definito “catastrofico”. Cambiamenti climatici, insetticidi, perdita dell’habitat: il loro numero complessivo è diminuito del 22 per cento negli ultimi 24 anni, secondo un nuovo studio della prestigiosa rivista Science. È la prima analisi sistematica a livello nazionale statunitense: un team di scienziati ha messo insieme 76.957 indagini da 35 programmi di monitoraggio e le ha unite per un confronto alla pari. Risultato finale: in 48 Stati Usa, il calo medio annuo è stato dell’1,3% per cento dal 2000, 114 specie si sono ridotte, solo 9 sono aumentate. «E non vediamo alcun segno che questo fenomeno possa finire», ha detto il coautore dello studio Nick Haddad, entomologo della Michigan State University. 
Il calo maggiore di farfalle si è verificato nel sud-ovest degli Stati Uniti (Arizona, Nuovo Messico, Texas e Oklahoma), dove il numero è diminuito di oltre la metà in 20 anni. Non è difficile intuire perché le farfalle che vivono in zone calde e secche se la passino particolarmente male. Il mese scorso, un’indagine annuale che ha esaminato solo le farfalle monarca – per semplicità, quelle dalle ali arancioni e nere –, famose per la migrazione che le fa spostare ogni anno per migliaia di chilometri, dal Nord America al Messico ha concluso che queste hanno registrato un minimo storico. 
Edoardo Vigna – Corriere della Sera/Clima e ambiente, 19 marzo 2025

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