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Luca de Simone
Giuseppe Verdi venne per la
prima volta a Montecatini (estate 1882), l'Italia unita era
una realtà da una ventina di anni. I suoi ottantotto
anni di vita (10 ottobre 1813-27 gennaio 1901) coprono
l'intero arco del Risorgimento. A Montecatini ritrovò
l'ambiente ideale per comporre musica, dopo più di
dieci anni di silensio dai trionfi di
Aida (Cairo, 1871).
Ormai si sentiva un musicista inaridito ed, invece, nella
città delle Terme, ritrovò la vena per
comporre capolavori come
Otello (Milano,
1887) e Falstaff
(Milano, 1893).
Il grande compositore fu fedele ospite di Montecatini per 18
anni. L'ultima volta venne pochi mesi prima della morte.
Prima di partire, quasi fosse un presentimento, si fece
promettere dal dottor Pietro Grocco, direttore sanitario
delle terme e suo medico di fiducia, che sarebbe accorso al
suo capezzale, in caso di grave malattia, quando avrebbe
ricevuto un telegramma con una frase convenzionale.
La
solitudine ormai lo affligge ogni giorno di più. A
dicembre del 1900 decide di partire per Milano per
trascorrere il Natale all'albergo de Milan in compagnia
della cugina Maria Carrara-Verdi, di Teresa Stolz, di Arrigo
Boito, della famiglia Ricordi e del poeta romanesco Cesare
Pascarella. Riceve una valanga di auguri da amici e
conoscenti sparsi un po' ovunque. Dice in tono scherzoso:
«Mangio poco, dormo poco e mi annoio molto. Non avrei
mai creduto d'aver a desiderare come suprema felicità
due buone gambe...».
Il 18 gennaio scrive alla cognata Barberina: «Sono da
quasi quindici giorni in casa perché ho paura del
freddo! Oggi però è una bella giornata; ma io
sono ferocemente attaccato sulla mia sedia e non mi muovo.
Speriamo nei giorni migliori». La mattina del 21 viene
accuratamente visitato dal dottor Caporali. Lo trova in
buona salute. Verdi si riveste, sulla sponda del letto,
aiutato dalla fedele governante romagnola, Teresa Gentilini.
Trova difficoltà ad abbottonarsi il gilet. Gli sembra
che troppi bottoni non obbediscano più alla sua mano
diventata all'improvviso distratta e stanca. Anche la
governante glielo fa notare e Verdi prontamente replica:
«Bottone più bottone meno...», e queste
sono le sue ultime parole, prima di stramazzare rivelto sul
letto. La cameriera chiede aiuto, torna il medico, ma la
situazione appare ormai irriversibile: un attacco di
emiplegia destra ha paralizzato il Maestro. Parte il
telegramma convenzionale e da Montecatini Grocco si
precipita al capezzale di Verdi, ormai incosciente. Gli
avvicina all'orecchio il suo orologio per fargli sentire la
musica familiare del carillon da anni cara a Verdi. Per un
istante Verdi apre gli occhi come per dire che ha capito che
il suo caro amico, il medico in cui ha sempre riposto tanta
fiducia, è lì accanto a lui.
Nell'appartamento
si sono riuniti Boito, Ricordi, la Carrara Verdi, Giuseppe
Giacosa, Giuseppe Spatz, proprietario dell'albergo, il
cognato Demetrio Barezzi, il fratello superstite di
Margherita, la prima moglie del Maestro. Il cuore del
Vecchio resiste per otto giorni, completamente immobile nel
letto. La situazione lentamente si aggrava: ogni
dieci-dodici respiri segue una pausa e le pause si fanno via
via più frequenti e più lunghe. Il ritmo cessa
e riprende; per interminabili secondi non un moto, un
sussulto, poi la vita e l'armonia del fiato ritornano
udibili.
Grocco rimane sempre lì, fisso al suo fianco, non lo
lascia un solo secondo. Ogni tanto si alza e gli controlla
il respiro con l'orecchio appoggiato al petto. Finché
l'ultimo soffio di vita è come il cadere della
bacchetta dal podio. E' la notte fra il 26 e il 27 gennaio,
alle 2.50. Verdi muore senza riconoscere nessuno di quelli
che gli stanno intorno.
Fuori è freddo e buio. Il Comune aveva fatto stendere
della paglia davanti all'albergo perché il traffico
mattutino dei carri non disturbasse il Maestro. Appena si
propaga la notizia della morte del compositore, arrivano
telegrammi di condoglianze del Re, dei ministri, dei
presidenti della Camera e del Senato, di tenori, soprani,
direttori d'orchestra e impresari, ma anche quelli di gente
del popolo tipo l'umile prete di campagna che scrive:
«La Vergine degli angeli ti copra col suo
manto».
Le sue ultime volontà rispecchiano i modi semplici
con cui aveva caratterizzato tutta la sua vita. Queste
alcune frasi del suo testamento: «Ordino che i miei
funerali sieno modestissimi e si facciano allo spuntar del
giorno od all'Ave Maria di sera, senza canti e suoni.
Basteranno due preti, due candele ed una croce.» Ordina
anche che non venga mai toccato il grande parco di S. Agata,
cresciuto insieme alla sua fama.
E le sue ultime volontà sono rispettate. I funerali
si svolgono la mattina del 30 gennaio, su un carro di terza
classe, alle sei e mezzo, senza alcuno sfarzo. Però,
i funerali solenni avvengono il 20 febbraio. Una folla
immensa saluta le salme di Giuseppe e Giuseppina Verdi, che
lasciano il cimitero monumentale per una cripta nella Casa
di riposo, quella costruzione che Verdi ha considerato
l'ultima sua grande opera. Nel suo testamento aveva espresso
«il vivo desiderio di essere sepolto in Milano con mia
moglie nell'oratorio che verrà costruito nella Casa
di Riposo dei musicisti da me fondata».
Il Comune di Montecatini è rappresentato da Luigi
Baragiola con delibera adottata il 28 gennaio dal Consiglio
comunale riunito in seduta straordinaria. Viene deciso anche
che «al Viale ora denominato del Tettuccio, per il
tratto che va dalle Terme al Tettuccio, viene imposto il
nome di Viale Giuseppe Verdi; al tratto di mura castellane,
che va dallo scalo della Funicolare allo Chalet Melani,
è imposto il nome di Passeggiata Giuseppe
Verdi».
Durante le esequie un coro diretto da Toscanini e una folla
di migliaia di persone intonano l'inno del trionfo giovanile
di Verdi: «Va pensiero, sull'ali dorate...».
Nell'ultimo viaggio, dunque, il grande compositore viene
accompagnato dalle note della sua musica che avrà
gloria eterna.
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