100 anni fa Puccini incontrò a Montecatini Toscanini e Forzano un mese prima della morte a Bruxelles: parlarono di Turandot
Circa un mese prima della sua morte, Giacomo Puccini si incontrò a Montecatini con Arturo Toscanini e Giovacchino Forzano. Era il 18 ottobre (proprio 100 anni fa oggi) e l’incontro avvenne al Grand Hotel La Pace, come confermano le firme rilasciate sull’albo d’onore dell’albergo dove Toscanini era solito trascorrere dei periodi di riposo.
Naturalmente si parlò di Turandot, del duetto finale che ancora non c’era ma che il Maestro dava per imminente la conclusione, della messa in scena dell’opera nella primavera dell’anno successivo alla Scala con Toscanini alla direzione e Forzano come regista.
Puccini e Toscanini si erano visti anche ai primi di settembre. Mentre si trovava a Bologna per il Nerone, Toscanini andò a Viareggio, dove il compositore gli fece ascoltare qualche pagina della Turandot. Puccini non riusciva quasi più a cantare, a causa di un persistente mal di gola che ormai lo tormentava da mesi. Comunque, ritenne che il direttore fosse “rimasto molto contento”: in realtà Toscanini era ammirato ma non convinto. Tuttavia, promise che avrebbe diretto l’opera alla Scala nell’aprile successivo.
Il 10 ottobre Puccini era stato sottoposto a una visita specialistica a Firenze per il problema alla gola. Scrisse all’amico Carlo Clausetti della Casa Ricordi: «Domani vado a Firenze dal prof. Torrigiani per un’altra visita alla mia tormentosa gola! Poi andrò, se è il caso, a Losanna o a Berna, dove dicono c’è un bravissimo specialista. Purché non sia cosa grave! Speriamo bene». E il 29 ottobre gli scrisse ancora: «Il mio male è un papilloma, non grave, ma bisogna levarselo e presto; è situato sotto l’epiglottide. Ho telegrafato al prof. Gradenigo, dovrò operarmi col radio o coi raggi X».
Era stata l’amica inglese Sybil Seligman a sospettare che il problema di salute del Maestro fosse qualcosa di grave ed aveva sollecitato il figlio Antonio di fargli effettuare una visita specialistica. A Puccini fu nascosta la vera natura della malattia, che, invece, venne rivelata al figlio, durante un colloquio privato con il medico, e poi confermata da un consulto effettuato con i professori Tosi, Torrigiani e Gradenigo. «Ho avuto consulto Torrigiani, Toti, Gradenigo venuto da Napoli. Mi mandano a Bruxelles! Sono grave! Ti puoi figurare – confidò ancora all’amico Riccardo Schnabl – Vado con Tonio; Elvira è troppo in tocchi per intraprendere il lungo viaggio. Che miserie! Turandot? Mah! Non averla finita quest’opera, mi addolora. Guarirò? Potrò finirla in tempo? E’ già pubblicato il cartellone». A febbraio aveva completato il secondo atto, nei mesi successivi aveva composto ed orchestrato il terzo fino alla morte di Liù. Gli mancava il duetto finale, la parte a cui teneva tantissimo.
Il 30 ottobre il Maestro andò per l’ultima volta a caccia a Torre del Lago, il suo paradiso. Il 3 novembre era pronto per trasferirsi a Bruxelles. La sera, nella sua casa di Viareggio, ricevette la visita di Toscanini e Forzano, che conoscevano la verità sulle condizioni di salute del Maestro. A loro eseguì le pagine già composte della parte finale dell’opera. E, all’improvviso, avrebbe pronunciato una frase che, purtroppo, sarebbe stata profetica: «L’opera verrà rappresentata incompleta e alla fine qualcuno uscirà alla ribalta e dirà al pubblico: “A questo punto il Maestro è morto”».
Giovacchino Forzano andò a trovarlo anche la sera prima della partenza. “Il 3 novembre – scrisse sul Corriere della Sera – fu la data più angosciosa: in quel giorno, seppi che il Maestro era condannato senza speranza. Da tempo, si era inquieti per quel suo male alla gola; la Scienza diceva che era nulla… i dottori ritraevano lo sguardo, soddisfatti e 1 cm, forse più avanti si nascondeva il tarlo roditore. Fu Puccini che, una volta insistette: ”Guardi più giù, dottore… è qui che sento… dovrebbe arrivare a vedere…”.
Tra qualche giorno, il dottore vuol rivedermi”. Così ci disse, poco dopo aver subito la visita, ad ottobre, quando andammo a trovarlo con Toscanini. Era abbastanza tranquillo ma gli faceva impressione sentirsi la voce cambiata. Quella sera, fu il radiotelefono che ci procurò un momento di vero spasimo. Puccini fu tra i primi ad avere il radiotelefono, amava tutte le novità della tecnologia. Dopo cena, ci condusse nella stanza dov’era l’apparecchio e lo mise in funzione. L’apparecchio cominciò a brontolare confusamente, poi si chiarì e divenne musica di un pianoforte che suonava, in Germania, La Marcia funebre di Chopin. In tutti e tre che stavamo ad ascoltare, sentii che era corso lo stesso brivido e nessuno ebbe la forza di dir nulla; restammo in silenzio col cuore stretto, mentre quel suono continuava lento, insistente, feroce, implacabile. Avrei voluto buttarmi contro l’apparecchio e spaccarlo…”.
Dopo essere andato a casa, tornai da lui dopo un’ora e mi vigilavo per non mostrare nessuna commozione nel rivederlo, sapendo che vicino a lui c’era la bianca Signora fredda e inesorabile che gli contava ormai i gesti e le parole. Egli era in piedi nel mezzo della stanza: alto e massiccio con quelle sue spalle squadrate, il grande viso toscano lungo, sguardo forte e vigoroso: appariva ancora saldissimo ed era moribondo. Di tanto in tanto, parlando, portava distrattamente la mano alla gola e ne accarezzava un punto; la vipera era lì sotto, rannicchiata, quasi invisibile, ferma, per non farsi scoprire…
In quella sala v’era chi sapeva e chi non sapesse. Io notavo perfettamente che chi sapeva, nonostante facesse di tutto per sembrare indifferente, parlava con un tono di voce diverso da chi non sapeva e guardava il Maestro con uno sguardo diverso; mi accorsi così che Toscanini sapeva.
Lo lasciammo a notte tardissima… e ci si rivide il giorno dopo alle 8,30 della mattina del 4 novembre, era martedì e allora sarebbe partito per Bruxelles. Era sempre a letto, leggeva come di consueto i giornali, aveva riposato tranquillamente e si sentiva meglio. “Dunque, vedrà che a Bruxelles, farà presto a guarire e starà subito ancor meglio e così potrà finire l’opera in pochi giorni. Arrivederci, Maestro, a Milano per le prove… Arrivederci… Arrivederci…”. Ci si abbracciò, lo vedo ancora dall’uscio aperto della sua camera, farmi un gesto di saluto, mentre mi avviavo nel corridoio. Arrivederci…”.
La morte avvenne alle ore 11.30 del 29 novembre.
I funerali furono celebrati a Bruxelles, nella chiesa di Sainte-Marie, il 1° dicembre dal Nunzio Apostolico, monsignor Clemente Micara, e il 3 dicembre, a Milano, in duomo, dal cardinale Eugenio Tosi. Toscanini diresse l’orchestra della Scala nel Requiem dell’Edgar. La salma fu tumulata nella tomba di famiglia di Toscanini, nel cimitero monumentale, e due anni dopo, il 29 novembre 1926, per volontà del figlio, trasferita a Torre del Lago.
La prima della Turandot, diretta da Toscanini, ebbe luogo alla Scala il 25 aprile 1926, con un anno di ritardo rispetto alla data prevista da Puccini. Il direttore d’orchestra sospese la rappresentazione all’ultima nota scritta da Puccini: «Qui – disse con la voce soffocata dalle lacrime – finisce l’opera rimasta incompiuta per la morte del Maestro»